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  • Open a larger version of the following image in a popup: Neoclassical Artist, Aphrodites wounded by Diomedes, is carried to Olympus by the Ares’ chariot, 1800 c

    Artista Neoclassico

    Venere ferita da Diomede, 1800 c
    Olio su tela
    75,6 x 89,7 cm
    Per informazioni
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    Il nostro dipinto, olio sulla tela di origine, raffigura il celebre episodio, narrato da Omero nell’Iliade (libro V, vv. 311-430), nel quale Venere, ferita da Diomede, viene condotta sull’Olimpo sul carro di Marte trainato da cavalli alati. Nel corso di un duello tra Diomede e Enea, Venere scesa in campo per salvare il figlio Enea l’avvolge in un velo. Ma l’eroe greco Diomede per niente intimorito dalla dea lancia contro di essa la sua lancia che la ferisce al polso unica sua parte vulnerabile. Al chè Venere dolorante invoca Marte pregandolo di aiutarla a sfuggire alla battaglia. Marte dunque invia in suo soccorso il carro trainato da quattro cavalli e guidato da Iri.Avvolti da una nube, si avviano sull’Olimpo. Sul basso della tela è raffigurata la scena della battaglia fra Greci e Troiani sulla spiaggia di Troia mentre al largo sono in arrivo delle imbarcazioni. Il dipinto è stato attribuito ad un collaboratore di Andrea Appiani dal prof Francesco Leone che ha redatto una scheda.
    Maggiori indicazioni

    Questo prezioso dipinto raffigura un celebre episodio dell’Iliade omerica narrato nel libro V (vv. 311-430). Diomede, re di Argo, tra i personaggi principali e più valorosi dell’Iliade, protetto da Pallade Atena, ferì sul campo di battaglia Venere, che si era palesata tra gli uomini per accorrere in soccorso del figlio Enea.

     

    La dea tese le braccia attorno al figlio e lo protesse dai dardi con il suo velo splendente in modo che nessuno dei greci potesse ucciderlo. Venere trasse Enea fuori dalla battaglia, ma fu inseguita da Diomede che la ferì al polso con una lancia scagliatale contro. Marte, suo amante, le mandò un carro avvolto da nubi e guidato da Iri per ricondurla in Olimpo. Nel dipinto qui esaminato, Venere è adagiata sul carro di Iri avvolto dalle nubi. Esanime, la dea è sostenuta da tre putti alati che le sono attorno. Sullo sfondo in basso, a volo d’uccello, in modo estremamente sintetico e compendiario è raffigurata la battaglia furente che contrappone gli achei di Diomede ai troiani di Enea. In lontananza si scorgono la cinta muraria e gli edifici monumentali di una Troia immaginaria, in cui trovano posto anche delle piramidi egizie.

     

    Il dipinto, che nel taglio compositivo e nel suggestivo sotto in su sembra richiamare una composizione ad affresco, si ispira molto precisamente alla pittura di Andrea Appiani, il più importante degli artisti neoclassici italiani.

     

    Rimanda innanzitutto ai modi pittorici di Andrea Appiani il taglio compositivo di questa preziosa tela. L’autore di quest’opera dovette studiare con attenzione alcuni affreschi compiuti da Appiani a Milano nell’arco della sua prestigiosa carriera. Tra questi dobbiamo annoverare l’affresco con Aurora che fuga la notte compiuto nel 1792 per la volta dello scalone d’onore di palazzo Litta (oggi palazzo Litta CusiniModignani).

     

     

    Il braccio alzato di Iri nel dipinto qui esaminato ricorda da vicino quello della figura di Aurora dell’affresco di Appiani. Allo stesso modo, ulteriori assonanze sono evidenti nelle attitudini dei putti in volo che accompagnano il carro. Al mondo pittorico di Appiani rimandano anche i cavalli e il particolare modo di dipingere il bronzo dorato, reso doviziosamente nei dettagli e rialzato con colpi di biacca che ne restituiscono la lucentezza. Anche la vittoria alata ricorre spesso nella pittura di Appiani di stampo celebrativodedicata a Napoleone, di cui Appiani fu il pittore ufficiale in Italia a partire dal 1805.

    Una composizione analoga compare anche nel piccolo rame con Aurora e Cefalo della Galleria d’Arte Moderna di Milano.

     

     

    Anche la vista a volo d’uccello della battaglia che si sta svolgendo tra troiani e greci deriva molto precisamente dal nuovo modo di concepire la pittura di storia che Appiani inaugurò a Milano con i celebri Fasti di Napoleone – distrutti dai bombardamenti del 1943 – realizzati a monocromo tra 1800 e 1807 per il ballatoio della Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale (fig. 3).

     

     Fig. 3: Andrea Appiani, Napoleone in Egitto medita dinanzi alla personificazione allegorica della Repubblica Cisalpina, 1800-1803, tempera su tela; già Palazzo Reale di Milano, Sala delle Cariatidi (distrutto nel 1943).

     

     

    La datazione di questo dipinto va fissata intorno al 1820 per la resa profilata e molto nitida delle anatomie e per l’andamento flessuoso delle membra di Venere che rivela già una sensibilità naturalistica in cui si possono cogliere i primi segni del gusto romantico. Inoltre nei volti dei putti sono chiaramente ravvisabili gli influssi di Pelagio Palagi, altro importante pittore italiano trasferitosi proprio a Milano nel 1815 (vi sarebbe rimasto fino al 1832).L’autore di questo dipinto quindi, più che un semplice ammiratore di Appiani, dovette esserne necessariamente uno stretto collaboratore e allievo. Durante gli ultimi anni della sua carriera il maestro del neoclassicismo italiano ebbe molto vicino a sé essenzialmente due artisti. Uno fu Antonio De Antoni (1780/1785 – 1854), che insieme ad Appiani realizzò alcune opere sia ad affresco sia su tela, come il Ritratto di Giovanni Battista Fratres del 1805-1810 (fig. 4).


     Fig. 4: Andrea Appiani, Antonio De Antoni, Ritratto di Giovanni Battista Fratres, 1805-1810, olio su tela; Milano, Ospedale Maggiore, Ca’ Granda.

     

    Ed è probabile che, pur avendo noi pochissime testimonianze pittoriche di questo artista, proprio a lui si debba ricondurre il dipinto qui allo studio. Il secondo artista fu Giuseppe Diotti (1779-1846), documentato come collaboratore di Appiani intorno al 1810. A Diotti peraltro, che in seguito sarebbe divenuto un apprezzato frescante, si deve un affresco giovanile sulla volta di un salone di palazzo Mina Bolzesi a Cremona compiuto intorno al 1815-1820 in cui, sebbene con una scena completamente diversa dalla nostra in cui Venere compare già in Olimpo insieme a Iri attorniata da tutte le divinità, è raffigurato questo stesso nostro soggetto. Si tratta di un fatto piuttosto inconsueto se si considera la rarità di questo tema (fig. 5).

     Fig. 5: Giuseppe Diotti, Venere ricondotta in Olimpo da Iri, 1815-1820, affresco; Cremona, Palazzo Mina Bolzesi.

     

     

     

                                                                      

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