Joseph DORFFMEISTER Hungary, 1764-1814
Il nostro dipinto raffigura un giovane uomo ritratto all’antica con un elmo e un’armatura giunto dinanzi alle rovine di un antico edificio su di uno splendido cocchio dorato, trainato da due bianchi destrieri al galoppo; a terra, di fianco al carro, un giovane scudiero a torso nudo tiene le redini dei cavalli. La scena si svolge ai bordi di una scogliera oltre la quale si scorgono, sullo sfondo, le acque del mare agitate in lontananza da un mostro marino.
Numerose sono le citazioni dall’antico presenti nel nostro dipinto: oltre che per le vesti e per la possente anatomia dei due personaggi rappresentati, l’artista si è ispirato a modelli classici per la realizzazione del carro e, in particolare, della facciata cieca dell’edificio, simile a un tempio classico, sormontata in alto da un frontone e ornata più in basso da un fregio istoriato e da colonne in ordine corinzio.
L’opera è ispirata al mito di Ippolito, figlio di Teseo e dell’amazzone Antiope (o Ippolita), e della sua matrigna Fedra: dopo aver tentato invano di sedurre Ippolito, casto e di bell’aspetto, Fedra confessa a Teseo, suo sposo, di essere insidiata dal giovane. Non volendo uccidere suo figlio di propria mano, Teseo chiede aiuto a Poseidone, dio del mare, che invia sulla riva un mostro marino a spaventare i cavalli di Ippolito, che muore cadendo dal proprio carro.
Da un punto di vista iconografico, il nostro dipinto offre una soluzione originale alla rappresentazione del mito di Ippolito, solitamente rappresentato nell’attimo in cui, caduto dal proprio carro, muore. L’artista ungherese ha diversamente scelto di raffigurare gli istanti che precedono la morte del giovane. Sir Peter Paul Rubens ha raffigurato, ad esempio, la tragica Morte di Ippolito.
Alcuni brani dell’autobiografia scritta da Philip J. von Rehfues, poeta, letterato e supremo consigliere segreto del governo di Prussia[1], riportano informazioni interessanti sulla vita e le opere di J. Dorffmeister: rimasto orfano sin da bambino dell’intera famiglia, Dorffmeister viene inviato da Ödenburg, sua città natale, a Vienna per studiare disegno con Füger, pittore di corte dell’Imperatore Giuseppe. Rehfues afferma di aver incontrato l’artista, giunto forse in Italia prima del 1798, a Livorno e che nel 1799 Dorffmeister prende parte all’insurrezione scoppiata ad Arezzo:
«La partecipazione attiva a questa insurrezione costrinse Dorfmeister, dopo la battaglia di Marengo, a cercar rifugio a Livorno […] Oltre a parecchi ritratti[2] egli portò a termine sotto i miei occhi un quadro raffigurante Ippolito e l’adombrarsi dei suoi destrieri alla vista del mostro marino, mentre il giovane eroe si sforza invano di domare gli animali. Lo spavento per l’apparizione era espresso anche sul bel volto, come pure il dominio dell’animo dell’eroe sullo spavento.»[3]
Il dipinto sarebbe poi stato portato a Vienna per essere esposto in uno dei palazzi imperiali.
[1] Il manoscritto originale dell’autobiografia scritta da Rehfues è andato irrimediabilmente perduto ma alcuni suoi passi vengono, per fortuna, ampiamente citati nel Lebensbild di A. Kauffman. I passi della biografia sono dunque tratti da: A. Kauffman, Philipp Joseph Rehfues. Ein Lebensbild, in «Zeitschrift für preussische Geschichte und Landeskunde», 18, Berlin 1881, pp. 89-224. Cit. in g. vasale Un viaggiatore tedesco, un pittore ungherese e l’insurrezione aretina del 1799, Città di Castello 1987, p. 21.
[2] Al principio del secolo XIX il D. contribuì allo sviluppo di una tradizione di vedutismo e ritrattistica genovese; di lue due Ritratti (1802, 1804) si conservano presso l’Accademia Linguistica di Belle Arti e un Ritratto femminile (1804) presso l’Asilo Tolot. aa. vv., La pittura a Genova e in Liguria: dal Seicento al primo Novecento, II, Genova 1987, p. 177.
[3] «[….] Ausser mehreren Porträten endigte er unter meinen Augen ein Bild, welches den Hippolitus darstellt, wie seine Rosse durch den Anblick des Seeungeheueres scheu geworden, und der junge Held vergebens bemüht ist, die Thiere zu zügeln. Das Entssetzen über die Erscheinung war auch in dem schönen Gesicht ausgedrückt, sowie die Herrschaft des Heldensgemüths über das Entsetzen.» Cit. in vasale 1987, p. 36, 38.