Oswald ACHENBACH
L’inedito dipinto raffigura una suggestiva veduta crepuscolare della Fontana di Trevi.
Progettata e iniziata nel 1732 da Nicola Salvi, che vinse il concorso indetto da papa Clemente XII traendo spunto da un progetto originale di Gian Lorenzo Bernini, la fontana fu inaugurata nel 1735, ma completata da Giuseppe Pannini nel 1762. Ha come quinta prospettica la facciata di palazzo Poli ed è alimentata dall’acquedotto dell’Acqua Vergine.
Essa è dedicata alla maestosità del mare con la statua in travertino di Nettuno (opera dello scultore Pietro Bracci) stante su un cocchio a forma di conchiglia trainato da cavalli marini e guidato da tritoni, e affiancato dalle statue dell’Abbondanza e della Salubrità. Al centro della composizione una scenografica cascata d’acqua confluisce in una vasta piscina sottostante, mentre ai lati è circondata da naturalistiche rocailles.
Il punto di vista scelto da Achenbach per ritrarre la scena è il sagrato della chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio posta sull’angolo settentrionale della piazza. In primo piano sul cantone del palazzo si scorge la famosa edicola della ‘Madonna dell’Archetto’, immagine assai cara ai romani, protagonista di un curioso miracolo avvenuto nella seconda metà del XVIII secolo.
Spettacolare e suggestiva, com’è d’abitudine nell’arte del pittore tedesco, il quale più volte ritrasse paesaggi e monumenti nelle ore notturne per accentuare la drammaticità dei contrasti di luce, è l’ambientazione temporale in cui raffigura la fontana e la piazza: il crepuscolo, con la facciata di palazzo Poli illuminata dalla luce fredda della luna. La piazza è animata da una moltitudine di personaggi, alcuni dei quali con le torce già accese, mentre un’elegante carrozza trainata da due cavalli è in sosta davanti alla fontana.
Particolare interessante le due insegne “Galleria Dantesca” (Galerie Dantesque) sulle finestre di destra della facciata del palazzo, quella che oggi ospita la sala Dante, sede dell’Istituto Nazionale per la Grafica e centro culturale ed espositivo.
La grande sala fu costruita intorno al 1720-30 da Stefano Conti duca di Poli, nipote di Papa Innocenzo XIII, originariamente per ospitare la preziosa biblioteca di famiglia, anche se poi venne utilizzata come salone per feste. La denominazione “sala Dante” deriva dall’iniziativa del cavaliere Raimondo Gentilucci che nel 1865 affittò e poi ristrutturò questo ambiente per ospitare 27 grandi tele da lui commissionate a famosi pittori del tempo, ispirate da disegni di Filippo Bigioli, che raffiguravano episodi della Divina Commedia. Questi dipinti di grandi dimensioni (4 x 6 metri) venivano mostrati alternativamente al pubblico attraverso suggestivi giochi di luci. Per l’inaugurazione della sala fu eseguita la sinfonia Dantesca di Liszt e declamati versi della Divina Commedia (e non solo) da attori dell’epoca. Tale iniziativa culturale fu molto apprezzata dai contemporanei; fino alla fine del secolo la sala Dante fu uno dei più rinomati luoghi romani per l’esecuzione di concerti, ospitando anche talvolta conferenze o feste di personaggi illustri.